- Scritto da Gianfranco Lenti
- Categoria: Articoli d'opinione
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I banditi in giacca e cravatta.
nel vasto panorama delle umane genti, per quanto labile, frastagliato e comunque personale, ciascuno di noi traccia un confine fra personaggi che consideriamo positivi e quelli che invece non lo sarebbero…
Per un gioielliere verrebbe spontaneo ritenere i rapinatori al vertice dell'abominio, ma non é così.
Almeno, non per me, malgrado le varie rapine che mi hanno allietato nel tempo.
Certo, vederti sparire in un attimo il passato, il presente e una bella fetta di futuro non é fra i piaceri più travolgenti, né il rimanere almeno con tutti i debiti sarà motivo di particolare conforto, ma guardando il fenomeno da una ragionevole (e soprattutto esterna) prospettiva, emergono anche dettagli che pur non deponendo a favore dei gangsters, almeno ne sfumano un pochino la bieca immagine.
Non mi riferisco al balordo dal grilletto facile, magari strafatto di porcherie assortite, ma ai banditi professionisti, quelli che NON sparano praticamente MAI.
Professionisti, dicevo, che oltretutto incassano anche qualche rara e ben diretta pallottola dalle nostre benemerite e purtroppo malconsiderate forze dell'ordine…
Certo, tali malviventi non aspirerebbero (forse) alla gloria degli altari, ma salvo il caso non siano protetti da qualche etichetta pseudo-politica riscuoterebbero solo una meritata e sostanziosa riprovazione generale.
Orbene, quelli che a me danno maggior fastidio sono i banditi in giacca e cravatta, squallidi figuri che si aspettano rispetto e magari anche deferenza perché le loro "buone azioni" sono SEMPRE (o quasi) formalmente ineccepibili!
A me é capitato di accompagnare un amico che, vittima di una rapina, doveva incontrare il liquidatore della compagnia assicuratrice in quel di Torino, la mia amatissima (e sfortunata) ex capitale d'Italia:
l'esperienza non é stata delle più esaltanti, e ne conservo impressioni e vividi ricordi…
E tutti dello stesso livello: negativi!
Macinare un centinaio e passa di km per per incontrare un impiegato di chi che aveva stipulato il contratto a Valenza non era certo un balsamo per l'umore, ma le prime impressioni avrebbero condizionato anche il più ottimista dei benpensanti, una categoria che non mi vede ingrossare le sue schiere.
Un palazzo anonimo, semiperiferico, fra altri palazzi grigi e simili, con un ufficio al piano terra piuttosto buio.
Un ufficio spazioso, ma arredato con mobili pretenziosi e impersonali, quasi provenissero da un'asta giudiziaria al ribasso.
Lo shock però fu l'incontro col perito liquidatore, un figurante improponibile persino come macchietta cinematografica in quanto "caricato" in modo troppo vistoso, e quindi poco credibile.
Capelli scuri pettinati con la riga, lucidi e impomatati con la vasellina o forse con l'olio di fegato di merluzzo, il tizio si presenta come "ingegner tal dei tali" e sospirando ci ringrazia per la necessaria visita.
Purtroppo allunga anche una pinna a forma di mano, un'appendice fredda, molliccia e per fortuna esitante, tanto che fingendo una grande attenzione per l'arredamento almeno io scampo la formale e non gradita stretta.
Si entra subito nel merito con la disamina di tante fatture e scritture contabili, ovvero delle pezze giustificative a sostegno del valore relativo al danno subito.
Macché, il figuro monta una sigaretta su di un bocchino lungo una spanna e abbandonandosi mollemente sullo schienale della poltrona incomincia ad avanzare alcune (caute) riserve circa la veridicità delle documentazioni esibite.
Ma si trattava di documenti e di registrazioni ineccepibili, e poche osservazioni sono sufficienti per ricacciargli in gola tanto i sospetti quanto i vari, melliflui ammiccamenti.
Il primo round é nostro, ma lo scontro continua.
Il secondo tempo é più un circostanziato elenco di successi professionali del suddetto "ingegnere", successi che gli avrebbero conferito la fama di terrore dei truffatori.
Altre schermaglie "in punta di forchetta", e poi un nostro deciso affondo, una stoccata che crederemmo risolutiva:
ma lei, caro signore, si é accorto che si trattava di un sinistro assicurato "a primo rischio assoluto", ovvero la compagnia ci deve risarcire in capitale assicurato senza menare il can per l'aia, salvo la verifica che i gioielli siano stati effettivamente rapinati, e il cui valore fosse realmente quello dichiarato.
L'intera reception di un albergo, due dogane e due spedizionieri possono attestare la veridicità di quanto denunciato, e siccome i gioielli erano in "esportazione per tentata vendita", anche i valori non avrebbero potuto essere falsati:
anche il secondo round é nostro e, per usare un'immagine purtroppo attuale, anche noi "iniziamo a vedere una lucina in fondo al tunnel".
Una lucina sotto forma del sospirato assegno di rimborso perché per le varie denunce sono ormai passati mesi dal sinistro…
E quando ti rapinano, credetemi, é quasi sempre un affannoso accorrere di creditori sempre fiduciosi, sia chiaro, ma improvvisamente molto bisognosi di un saldo il più veloce possibile.
Se poi aggiungete che é comunque necessario disporre in fretta dei fondi per continuare l'attività non é difficile immaginare che l'assicurato non é in condizione di parità, né tantomeno di felice vantaggio, per affrontare un eventuale contenzioso.
Almeno, non con una specie di iena travestita da liquidatore come quella che ci guata con affettata (e falsa) comprensione…
Bene, il terzo round sembra vedere il liquidatore convinto delle nostre argomentazioni, o almeno privo di ulteriori eccezioni da opporre, ma qui il maramaldo gioca la sua carta:
ovvero sferra la pugnalata alla schiena:
la necessità di detrarre dal montante liquidabile il valore dello "sfrido".
E cosa sarebbe tale novità?
Con bonaria paternalismo il viscido ci spiega con malcelata sufficienza che durante il trasporto i gioielli si sarebbero strofinati l'un l'altro e risultando quindi più o meno abrasi, cioè danneggiati!
Come dire che i clienti sarebbero stati tanto stupidi da comperare oggetti bisognosi di ripristino estetico?
Come dire che la clausola del "primo rischio assoluto" é una bella cosa, ma se non accettiamo la sua proposta potremmo sempre adire le vie legali di una "terza istanza"?
Quelle vie legali che col processo ritarderebbero certamente per anni l'arrivo del maledetto rimborso, un rimborso senza il quale si dovrebbe quasi certamente chiudere bottega?
E' chiaro allora che siamo in presenza di uno sporco, infame ricatto, e un robusto manrovescio sull'odiosa e compiaciuta faccia ci starebbe proprio bene.…
Ma per fortuna una discreta e significativa pedata sotto il tavolo suggerisce l'inopportunità di prendere per il collo il gentiluomo liquidatore.
Perché avremmo certamente pagato a caro prezzo quella piccola e moralmente legittima soddisfazione!
Si, lo ripeto e lo sottolineo ancora: i banditi con la maschera in faccia e una pistola in mano mi fanno molto, molto meno ribrezzo.