La luce nera

La luce che ci circonda è solo una parte, per di più molto piccola, dell'energia che ci inonda quotidianamente: per l'esattezza, è quella parte di radiazione elettromagnetica che, caratterizzata da un preciso intervallo di lunghezze d'onda (*), noi possiamo avvertire con i nostri occhi.
L'arcobaleno che a volte decora il cielo ci mostra quest'energia composta nelle diverse lunghezze d'onda, sotto forma dei colori che tutti noi conosciamo; oltre ad essi, però, vi sono ancora energie, e sono di gran lunga la maggioranza, che fanno parte del nostro universo: il calore, tanto per fare un esempio, si manifesta sotto forma di radiazioni invisibili dette "infrarosse" perchè di lunghezza d'onda situata nella zona immediatamente successiva allo spettro (la zona dell'arcobaleno…) del rosso.


Similmente, oltre la zona del blu-violetto esistono radiazioni, ugualmente invisibili, dette " UV, ultraviolette", con proprietà ben definite e, nel caso della gemmologia, estremamente utili per uso tecnico. Vi sono infatti sostanze, in natura, che reagiscono in modo spettacolare in presenza di energia UV emettendo luce più o meno intensa, ma sempre caratteristica: è il fenomeno della luminescenza, detto fosforescenza se tende a prolungarsi anche quando si è interrotta la radiazione UV, oppure fluorescenza se ne è solo contemporaneo.

Nel laboratorio di gemmologia non manca mai una lampada UV, che dovrebbe essere tarata per emettere due particolari lunghezze d'onda nella regione degli ultravioletti: 254 nm (* nanometri) e 366 nm, chiamati rispettivamente UV a onda corta ed UV a onda lunga. L'uso di questa lampada permette di acquisire molte informazioni circa la natura dei soggetti in esame, anche se il suo uso privilegia abitualmente l'aspetto commerciale piuttosto che non quello tecnico.

Una volta infatti molte imitazioni di gemme, e la quasi totalità dei rubini sintetici (prodotti con il metodo Verneuil) presentavano una forte fluorescenza, e tanto bastava per orientare significativamente un giudizio; sui vecchi testi di gemmologia si trova (patetico ricordo!) il come e il perchè usare un filtro Chelsea in combinazione con la "luce nera" per individuare con sicurezza gli smeraldi sintetici, ma oggi tale fiducia sarebbe solo un efficace metodo di suicidio tecnico.
E commerciale, naturalmente!

Nuove sintesi, e nuovi additivi chimici hanno del tutto invalidato la fluorescenza UV come metodo diagnostico a sè stante, riservandogli però la dignità di informatore primario per altri scopi: conoscitivi, naturalmente, e commerciali, il che non è certo trascurabile.

Con le pietre di colore, una passata agli UV è ormai prassi consueta, e più di un venditore si è sentito contestare un lotto di zaffiri "tutto Pailin" solo perchè la fluorescenza dei soggetti era oltremodo disomogenea… Eccesso di zelo, forse, visto che nel caso specifico il particolare è del tutto secondario, perlomeno rispetto al colore, alla trasparenza, alla perfezione del taglio degli esemplari.

Non altrettanto, invece, nel caso dei lotti di diamanti che, non di rado, sono offerti "a scelta" del compratore. Supponiamo allora l'esame di un lotto di esemplari omogenei, come forma, grandezza e purezza, del quale si possa scegliere il colore:
la prima operazione da fare, e la più facile, è proprio una selezione preliminare agli UV (a onda lunga).

Separati gli esemplari fluorescenti, si preferiranno i campioni che, rimasti inerti alla luce UV, apparissero più pregiati (incolori, per l'esattezza), alla luce normalizzata luce impiegata per la selezione. Nei lotti standard, (cioè nel minerale prodotto dalla miniera) gli esemplari fluorescenti sono circa il 25-30% del totale, naturalmente con livelli d'intensità diversi; alcune pietre emetteranno una luce vivissima, e altre meno, ma comunque facilmente distinguibile in un ambiente a luminosità ridotta.

Questa luce, azzurra nella maggior parte dei casi, è dovuta alla presenza (tracce infinitesimali) di sostanze particolari, come l'azoto, che fungono da "traduttori" di lunghezza d'onda: convertono cioè la luce UV (invisibile) in radiazione dalla lunghezza d'onda percettibile all'occhio, appunto il colore di cui sopra.

Un passo indietro: per selezionare il colore dei diamanti si opera con la luce "stadi un neon particolare, detto "a luce fredda" che, insieme alla luce del mattino (la mitica "luce del Nord") è comunque ricca di raggi UV: in tale contesto, gli occhi del selezionatore osservano un "colore apparente" che è la somma del colore del diamante, piu' il colore della fluorescenza eventualmente presente.

Così, se esaminato solamente alla luce bianca, un diamante con una leggera coloritura tendente al giallo, ma con marcata fluorescenza azzurra, potrebbe essere stimato di colore migliore.

La fluorescenza però non è un dramma, naturalmente, nè tantomeno un difetto da demonizzare penalizzando esemplari altrimenti interessanti;
è però una caratteristica da considerare attentamente per evitare uno spiacevole, quanto gratuito, effetto di disomogeneità quando si debba riunire un certo numero di gemme da montare insieme. Tantopiù che la fatica ed il tempo necessari per un lavoro più accurato sono davvero minimi.

I diamanti solitaires giocano per conto proprio, naturalmente, ma contrariées, pavées e fedine a tutto giro non fanno certo un bell'effetto quando s'illuminano a scacchi sotto le luci di una discoteca! Ecco quindi spiegato l'arcano di certi diamanti che "muoiono" al pomeriggio, quando cioè la luce è povera di UV, e viceversa sembrano sfolgorare di una luce particolare se esibiti sui campi di sci della Valle d'Aosta.

Per tornare alla lampada UV, noteremo come la maggior parte di quelle in commercio siano del tipo aperto, o semi-aperto, perchè di facile uso e di accesso immediato. I mineralogisti, in particolare, utilizzano anche apparecchi totalmente inscatolati, necessari per lo studio delle fluorescenze residue (di certi gessi, per esempio). Le lampade più moderne permettono anche di separare l'illuminatore dal box, quando si dovesse operare su campioni di grandi dimensioni, così come sono disponibili modelli alimentati a batterie per l'esame di gemme "alla fonte".

In tal caso però è bene ricordare che è necessario evitare d'osservare direttamente la sorgente UV (soprattutto quella a onda corta) che potrebbe causare una spiacevole congiuntivite (gli occhiali da neve sul ghiacciaio, vero?).

In pratica, il gioielliere dispone oggi di strumenti realizzati su misura per le sue esigenze: una camera UV nella quale esaminare rapidamente interi lotti, o una lampada a luce bianca, specifica per i diamanti, magari con una sorgente UV a onda lunga incorporata, in posizione superiore.

Sconsigliabili, di solito, le soluzioni "fai da te" perchè se una sorgente UV è relativamente facile da assemblare, non altrettanto si può dire per una corretta filtratura delle due lunghezze d'onda necessarie: un'emissione non perfettamente calibrata darebbe una risposta del tutto approssimativa, e quindi ben poco utile per un lavoro professionale.

Per finire, ricordiamo che se la fluorescenza è un'informazione addizionale per quanto riguarda le pietre di colore, mentre è invece un elemento essenziale nella descrizione merceologica del diamante: é infatti riportata nei certificati d'analisi che accompagnano gli esemplari di maggior valore, e valutata nella sua entità come "nulla, debole, media, forte" (**)

 

Articolo pubblicato su Oro e Diamanti - Trezzano S/N (rivisto ed eventualmente aggiornato)