Messico, terra di opali

L'andar per gemme è un gran bel lavoro, di quelli che a volte si pagano di tasca propria per farlo nel modo migliore: non solo per l'aspetto commerciale, quindi, ma anche per quello umano.
Si lavora per la pagnotta, naturalmente, ma conoscere terre esotiche e genti lontane con prospettive diverse da quelle dei turisti "inclusive tour" è una fortuna per pochi, quasi un privilegio da assaporare fino in fondo, ma che si rinnova tutte le volte.
Visitata la fiera di Tucson, negli Stati Uniti, viene naturale ipotizzare un viaggio di ricerca nel vicino Messico, sia per la varietà di specie interessanti, sia per il piacere di tornare in uno dei Paesi più belli, più allegri e certo più ospitali del mondo. tessitura artigianale in una riserva di indios ChamulaAeromexico ci sbarca a Città del Messico dopo un volo da favola: ormai siamo habitué, e fra le gentilezze di cui l'equipaggio ci fa oggetto dobbiamo rifiutare certi bicchieroni di tequila che, completi di sale e fette di lemoncillo, addormenterebbero un elefante.

Però il comandante ci ha accettato a più riprese in cabina di pilotaggio, e l'overdose di strumenti elettronici ci rende euforici almeno quanto il tequila appena assaggiato.

Euforia che funziona da anestetico per lo shock da megalopoli, le cui dimensioni da sole bastano a spaventare almeno quanto il leggendario inquinamento.
L'hotel è ai margini della "zona rosa", l'elegante quartiere roccaforte dei turisti di passaggio che vi s'intruppano e stratificano a plotoni compatti, e che qui invece sono meno presenti.

L'aria condizionata ha livelli sopportabili, l'atmosfera è decisamente messicana, e ci si trova subito a proprio agio: meglio che a casa propria, per intenderci.
Il primo giorno è d'obbligo presentarsi di buon'ora davanti ai cancelli del museo nazionale di antropologia, la cui importanza, da sola, varrebbe il viaggio.

E' il museo meno museo che si possa immaginare, tanto le ambientazioni sono realistiche, e viene spontaneo chiedersi come mai, al posto dei manichini, non ci siano persone in carne e ossa.
Persino i guardiani sono umani, e dopo mezzo rotolo di scatti ti avvisano, casualmente, che non si dovrebbe fotografare.

Il giorno dopo, altra visita alle piramidi, con qualche ora di minibus e fermata obbligatoria al negozio di souvenir.
Un visitatore navigato come il sottoscritto, però, opta per una fabbrichetta artigiana d'autentici reperti archeologici, Atztechi, Olmechi, Zapotechi e/o Maya, a scelta.

Ma il dovere incombe, e gli opali messicani pesano sulla coscienza professionale.
Mai cercare lontano quello che puoi avere sotto il naso, e così, individuate le zone minerarie di Magdalena, si comincia la ricognizione con la merce reperibile a Città del Messico.

Chiesetta coloniale, a Puebla.Mercato artigianale di Bellas Artes, vicino alla stazione ferroviaria, con le sue infinite bancarelle: nulla di fatto, perché si trovano solo sculture in ossidiana grigia, e alcuni barattoli di opali grezzi con relativa matrice, tutti rigorosamente immersi in acqua.
Il prezzo è ridicolo, ma potrebbero servire tutt'al più come campioni per mineralogisti.
Esemplari migliori in alcuni negozi del centro, e molti anche nella zona rosa, ma sono venduti individualmente, a prezzi d'affezione.

In Ambasciata d'Italia, un cortesissimo funzionario I.C.E., il dr. Pironti, ci aiuta a rintracciare alcune ditte che appaiono come grossisti registrati alla locale camera di commercio, e saranno la nostra meta di domani.
Buca anche con loro, purtroppo, perché la quasi totalità dei campioni esitati sono biancastri e palliducci, più lattescenti che opalescenti.

Di opali di fuoco, poi, con quello stupendo colore arancio che sono la nostra meta, neanche a parlarne.
Li vediamo, certo, ma sono la collezione privata di uno dei titolari, che se li tiene ben stretti.

Dopo sentite rimostranze, ci viene svelato infine il nome migliore, magari un tantino altisonante, ma che promette bene.
Con una traversata di qualche ora, senza nemmeno uscire da città, ecco finalmente un assortimento di opali per tutti i gusti, e per tutte le tasche.
Solo che almeno il 90% sono australiani!
E si che per telefono ci avevano garantito un'ampia scelta di opali di fuoco, ma quelli che ci mostrano colmerebbero a malapena una tazzina da caffè.
Meglio di niente, dopotutto, ma non ci siamo con i prezzi, e dopo le necessarie spiegazioni siamo ammessi al cospetto del capo.

Che è magro, vestito di scuro e tirato a brillantina come un giapponese.
Infatti è giapponese, e con molti giri di parole c'informa che il materiale reperito è destinato nella quasi totalità alla madrepatria.
Alla sua, naturalmente, e così noi restiamo a bocca asciutta.

Il tassista ci ha aspettato, tanto finiremo per pagargli anche le ferie, e ci riporta verso l'albergo e relativa doccia consolatrice.
Ma, dall'insegna della ditta dalla quale ci ha recuperato indovina lo scopo del nostro peregrinare e, bontà sua, ci presenta a un cognato poliziotto rintracciato nel frattempo via radio.

Mai stati su un'auto della polizia messicana? No?
E' un'esperienza da fare, soprattutto dopo aver bevuto un paio di birre con il "sargento" capopattuglia.
Dal cruscotto escono le foto della famiglia, una scatola di cartucce per la Colt 45 d'ordinanza, un rosario (benedetto al santuario della madonna di Guadalupe) e un involtino di pelle di daino con una manciata di opali!
Su matrice anche questi, ma trasparenti e multicolori, e lucidati da qualcuno che sapeva il suo mestiere.

Grazie, amigo, ne prendiamo qualcuno tanto per gradire, ma ancora non ci siamo, non è quello che stiamo cercando. Disdiciamo l'albergo e pensiamo già a come raggiungere la non lontana zona mineraria di Magdalena:
a costo di picconare direttamente in galleria, opali cerchiamo, e opali troveremo.
splendidi opali messicani su matrice
Con lo scudo o sullo scudo, potrebbe essere il nostro motto.

Ma anche stavolta gli dei ci sono avversi, perché invece di giacimenti in galleria, a Magdalena si tratta di scavare buche, o di terrazzare il fianco di intere colline.
E la zona è presidiata da americani, tedeschi, indiani e giapponesi, naturalmente!
Tutti i cercatori magnificano esemplari e lotti a loro dire stupendi, ma ormai il sapore della sconfitta eguaglia il bruciore delle salse locali.

Tornati in città, rimarrebbe il mercato di Merced, una variopinta bolgia in cui, è certo, si può comprare di tutto.
Anche gli opali, che però sono gli stessi campioni in salamoia già trovati a Bellas Artes, per noi di scarso interesse.

In compenso, incrociamo un fotoamatore esperto che addocchia la nostra Rollei e, con fine tempismo, ne diventa il felice proprietario, naturalmente a nostra insaputa.
Sperando almeno che gli s'inceppi la pellicola mentre fotografa la morosa, fissiamo il volo per Guadalajara con la Mexicana de Aviaciòn: il Messico, oltre agli opali, ha anche stupende ambre, e non ci spiacerebbe davvero arricchire la nostra collezione con nuovi esemplari, completi di "animalitos " inclusi, è ovvio.

A Guadalajara, capitale dello Stato di Jalisco, ci aspetta Dino, fotografo valenzano felicemente trasferitosi costì agli inizi degli anni ottanta, e miracolosamente ringiovanito dalla qualità della vita che, finalmente, è riuscito a realizzare.
Ci accoglie con la gioia di vivere che gli sprizza dagli occhi e pietosamente evita di ricordarci l'Iva, l'Inps, l'ICI, l'Iciap e le altre amenità che allietano le italiche genti.

Ci scarica in città, e torna sul lago di Chapala dove vive felice in mezzo alla natura:
fra un paio di giorni proseguiremo insieme per il sud del Messico.
L'albergo è un'antica residenza nobiliare, a due passi da quel teatro Degollado che raggiungiamo subito per prenotare un biglietto.

Domani è domenica, e la giornata sarà totalmente impegnata: da una visita al museo dell'Ospizio Cavaña, a una festa di colori per i giardini che scendono a Plaza Tapatija, per concludere poi con il celeberrimo balletto folclorico dell'università di Guadalajara.
Per oggi ci accontentiamo di un'immersione (il termine è quantomai appropriato) nel mercato di San Juan de Dios", a caccia di un sombrero, di un serape, di un lazo e, naturalmente, di una caraffa di succo di canna da zucchero.

Mexico: opale di fuocoMete oneste, che ci spettano di diritto, ma che non raggiungiamo perché, come folgorati sulla via di Damasco, inciampiamo letteralmente in un tavolo coperto di opali di fuoco!
Tanti, di buone dimensioni, di qualità dal bello al bellissimo.
E in un negozietto con taglieria annessa, a due passi dall'hotel!

Probabilmente non abbiamo mai concluso affari tanto in fretta perché, allineate le disponibilità su di una scrivania, comperiamo tutto in blocco per un prezzo decisamente ragionevole.
E peccato che non n'avessero ancora, ma ce li promettono per la prossima volta, e tanto ci basta.

Sabato e domenica magnifici, in una città stupenda con gente cordiale e allegra che sentiamo amica ormai da anni.
Il microscopio da viaggio rimane in albergo, lo utilizzeremo in un (improbabile) giorno di pioggia.

Lunedì, e riecco Dino per la seconda parte del viaggio.
Con un paio d'ore di volo e più o meno altrettante di bus si arriva a San Cristobal de las Casas, ai confini del Guatemala, nello stato del Chiapas.
Una visita è doverosa per una cittadina che potrebbe essere assimilata ad Assisi. Un'Assisi messicana che ci conquista per un paio di giorni, anche se è infestata da torme di turisti.

Molti gli hippies, ma anche parecchi studiosi delle civiltà precolombiane, perché S. Cristobal è il crocevia della "ruta Maya", la via dei Maya, e tappa d'obbligo per raggiungere importanti siti archeologici come Uxmal, Palenque e Cicen Itza.
Ma noi siamo qui per un reportage gemmologico, e ben intenzionati a non lasciarci distrarre.

Così, dopo le rovine di Uxmal, ci limitiamo a brevi deviazioni che, con poche centinaia di chilometri in più, ci permettono di visitare il cañon del Sumidero e le cascate di Agua Azul.
Ma alla fine, con la camionetta di Dino mettiamo la prua su Simonjovel, la terra delle ambre.
La partenza e la strada sono buone, e possiamo fantasticare su quello che ci aspetta.
A San Cristobal visitiamo alcuni artigiani locali con ampia disponibilità di ambre, lavorate e montate nel modo consueto su collane, ciondoli, orecchini, anelli e bracciali.
Abbiamo anche conosciuto una coppia di messicani cordialissimi che hanno un museo privato di ambra, ove espongono pezzi rari, artistici e antichi, di una bellezza indescrivibile.

Pezzi non in vendita, naturalmente, ma che offrono a nostra disposizione nel caso volessimo illustrare un libro dedicato alla loro stupenda collezione.
L'idea ci tenta, e non ci resta che sperare di tornare presto, con il tempo, l'attrezzatura e gli sponsor necessari.

Avvicinandoci a Simonjovel rigiriamo il pezzetto d'ambra rossa che ci hanno venduto come portafortuna al prezzo simbolico di quindici lire:
non dovrà essere toccato da nessuno, e ci garantirà, a loro dire, il benessere economico!
Il fantasticare s'interrompe però al primo bivio, e dalla strada principale ci s'inerpica per una carretera che fa onore al suo nome.

Non che manchi l'asfalto, ma di tanto in tanto manca la strada.
O pezzi di strada, come asportati da una gigantesca cucchiaiata.

Ci passa regolarmente la corriera, e quindi passiamo anche noi, ma dalla strada mancante si osserva un magnifico paesaggio, purtroppo sotto di noi.
Un chilometro o due più sotto, per l'esattezza, il che non ci fa apprezzare adeguatamente la maestosità dello spettacolo circostante.

Altre due o tre orette di turismo, ed eccoci a Simonjovel, rinomata patria di omonimi peperoncini incendiari, e di ambre.
Il paese è piccolino, raccolto attorno alla piazza con palme cui fa da sfondo la chiesa bianca e azzurra, semplice, bellissima.

Le attrezzature turistiche sono embrionali, e forse per questo ci si sente subito meglio.
Il bar d'angolo ha le poltroncine a fettucce di plastica, ma l'assortimento di birre è superlativo: Modelo, Estrella, Bavaria e Corona decorano presto il nostro tavolo che, pur privo di bicchieri, diviene subito un centro di attrazione per gli amici del proprietario.
Per l'ambra c'è tempo o, meglio, non c'è verso di sganciarsi prima di una lunga chiacchierata sull'Italia.

Quota, temperatura e numero di birre sono salite parecchio, ed è solo grazie a un venticello pietoso che, di ombra in ombra, possiamo raggiungere una bottega dove lavorano una mezza dozzina di artigiani riuniti in cooperativa.
Ambra a volontà, pezzature medie e piccole, colori dal giallo miele al rosso cupo.
A noi interessano soprattutto le inclusioni, e questa volta il microscopio portatile fa scintille; e possiamo scegliere diversi campioni molto interessanti.

Non solo insetti, alati e non, ma anche un assortimento di muschi, licheni e foglie tale da deliziare anche i botanici più indifferenti.
I prezzi sono più che abbordabili, e crediamo che molti turisti spendano cifre superiori solo per le cartoline.
Sulle panchine della piazza sostano alcune ragazze che, dopo qualche esitazione, ci offrono sacchetti interi di ambre grezze.
Sono per la maggior parte scaglie, ma non mancano pezzi di buona dimensione, dalle forme interessanti.

I prezzi richiesti sono insignificanti, e per la lavorazione basterà un seghetto, un foglio di tela smeriglio, e un pezzo di polistirolo per la lucidatura.

Dino, che doveva cercare una guida per le miniere, oramai sta arringando mezzo paese e temiamo che nel descrivere la nostra persona e la nostra missione abbia alquanto calcato la mano:
così, ci ritroviamo con una guida di anni quindici, una scorta di due uomini (con machete, che qui è consueto quanto l'ombrello in Inghilterra) e un mulo portabagagli, felice che il suo carico sia costituito solo da un basto scarico.
Dall'angolo della piazza s'innalza la strada verso la zona mineraria, strada che dal sentiero d'origine è stata via via allargata fino a sembrare una pista d'atterraggio in discesa.
Anzi, in salita, perché arrivare sopra costa una sudata di due ore buone.

Il mio regno per un cavallo, o almeno per un ombrello, perché il sole da queste parti sembra pagato dai tuoi eredi.
Una volta arrivati alla meta, paesaggio a parte, ti viene da piangere perché ritrovi le stesse donne che avevi lasciato sulla piazza, forse, ma certo la stessa merce.

L'esperienza non si compra, è vero, ma è altrettanto vero che si paga, e non sarebbe onesto rimpiangere i freschi ozi di Cuernavaca, o le fiorite, ombrose strade di Morelia, l'antica Valladolid.

Riguadagnata la piazza del villaggio, sotto i portici di fianco alla chiesa c'è la farmacia/emporio generale che dispone anche di ambra.
Non i pezzetti visti fin ad ora, però: qui ci sono esemplari da collezione, e qualcuno anche da alta collezione.
Il titolare è cortese, ma ti scarica subito alla gentile consorte, evidentemente addetta e, soprattutto, avvezza alla vendita.

I pezzi sono accuratamente lucidati, e avvolti in carta velina, da cui emergono e alla quale ritornano ad uno ad uno, con calma, quasi con devozione.
Non ci si siede, vuoi perché il bancone a vetri è alto, vuoi perché l'assortimento di merci varie occupa tutto lo spazio disponibile.
E anche quello immaginabile, servizi compresi.

Non che importi molto, perché anche se il negozio fosse quattro volte più grande, fra i clienti normali e gli accompagnatori che ormai ci scortano in corteo ci sarebbe ugualmente il tutto esaurito.
Che aspirino tutti a una percentuale?
Il livello dei prezzi la giustificherebbe ampiamente, ma la qualità dei campioni è superlativa, ed è inutile discutere.

Si può contrattare, si arriva a risparmiare qualcosina sulla cifra totale, ma la riduzione è più simbolica che sostanziale.
Che sia l'altitudine a debilitare le nostre capacità mercantili?

Macché altitudine, è la lingua!
Avendo noi chiesto qualcosa di bello, loro hanno tirato fuori quello che "loro" considerano bello;
poi, mostrato ciò che intendevamo noi per "bello", loro ci hanno spiegato che era si e no "bonito", discreto, e quindi di prezzo ben inferiore, oltre che più trattabile.
Non si è mai finito d'imparare, vero?

Bene, è ora di tornare.
Anche il blocchetto degli assegni è in riserva, e temiamo che non potremo permetterci di girare ancora per molto.
Da queste parti, ora, ci sono problemi sociali non indifferenti, e per tornare sono necessarie attenzioni che esulano dalla mentalità di un normale turista.

Ciononostante, speriamo d'avere al più preso l'occasione per un'altra capatina in Messico, magari accompagnando un selezionato gruppetto di amici.

Perché qui, affari o non affari, non solo si è felici di essere venuti: si è felici di essere nati.

 

Articolo pubblicato su Oro e Diamanti - Trezzano S/N (rivisto ed eventualmente aggiornato)