Diamanti "senza certificazione": ha mai avuto a che fare con...?

Gentile sig. Gainfranco Lenti, 

 

vorrei qualche informazione.

 

Su Le Monde è uscita un'interessante inchiesta su come i diamanti senza certificazione riescano a passare per il web e vengano venduti senza certificazione.

 

Lei lo trova possibile?

 

E se si, le è mai capitato di imbattersi in un fenomeno simile?

 

La ringrazio per l'attenzione

 

Elena.

 

 

Buona sera, Elena

 

la ringrazio per l’interessante domanda, alla quale posso rispondere solo arrogandomi la parte del pignolo…  :-)

 

Si perché le “certificazioni” sarebbero ben tre, e lei non mi precisa a quale si riferisca.

 

Oggi i diamanti  devono essere accompagnati dal “Kimberley Process”, un virtuoso e sussiegoso papiro che garantirebbe l’origine “etica” dei i preziosi cristalli.

Cioè attestare Urbi et Orbi che i profitti da questi generati NON derivino né da sfruttamento di lavoro minorile né servano o siano serviti per finanziare le guerre in generale e quelle “democratiche” in particolare.

In realtà é solo un mezzo utile non solo per incamerare un ulteriore balzello (e per stimolare qualche spontanea mancia) ma per elevarne il costo all'origine.

Per rendere quindi remunerativi gli scavi dei giacimenti diamantiferi del Canada, nazione dove non ci sono indigeni da far lavorare in condizioni infami.

Enormi gli interessi in ballo e quindi le anime sensibili plaudono alla via di  “moralizzazione” finalmente intrapresa dopo un paio di secoli di atrocità.

E naturalmente vorrei applaudire anch’io pur non arrogandomi il titolo di anima bella, ma non posso ignorare che il portabandiera della moderna e luccicante crociata del Kimberley Process é proprio quella compagnia Anglo-Sudafricana che per un paio di secoli ha gestito la ricerca dei diamanti in Sud Africa con metodi molto, molto simili a quelli in uso nei lager d’oltralpe in epoca più recente.

 

Ma sia chiaro che asciugate le lacrime scese copiose dal film “Diamanti di Sangue” oggi i diamanti circolano tranquillamente ovunque e nessuno si fa problemi per verificare l’attendibilità del certificato d’origine di cui sopra.

Non per disonestà ma solo per senso pratico perché da sempre una quantità strepitosa di diamanti é esportata da Paesi… che non ne hanno affatto nel loro sottosuolo.

Però sono confinanti con Paesi produttori, dai quali sono contrabbandati grazie a complicità a tutti i livelli e poi inoltrati a destinazione grazie magari a compiacenti e collaudate valige diplomatiche.

 

Il secondo “certificato” dovrebbe essere quello di regolare ingresso nei Paesi dell’Unione Europea, ciascuno dei quali dovrebbe avere comportamenti almeno equivalenti, se non uguali,

Ma così non é e quindi é inutile fare gli struzzi:

diamanti grezzi e/o tagliati prendono vie non ufficiali, previo uno stop tecnico e commerciale nei grandi centri di taglio, non solo europei.

 

Il terzo certificato, quello propriamente detto “certificato di analisi gemmologica” corrisponde a una pagella riassuntiva e magari anche abbastanza descrittiva, delle caratteristiche significative - le famose 4C - del diamante che in questo caso é tagliato (ci si augura) a regola d’arte.

Questo certificato é un importante aiuto nel commercio perché, quando emesso da un reputato laboratorio gemmologico, fornisce un’attendibile base per una più rapida trattativa commerciale.

Non é facilissimo da interpretare correttamente e a volte non riporta nemmeno quelle osservazioni che in tanti casi sarebbero preziose per acquisti davvero oculati:

ecco il perché io sostengo a spada tratta l’assistenza preventiva di un gioielliere che oltre a spiegare termini meno comprensibili sappia anche porre in atto i ragionati e necessari confronti.

(Anche) per togliere spazio ai gemmofurbetti e a certi pelosi filibustieri che impazzano in sul Web.  :-)

 

Il certificato gemmologico NON é un documento obbligatorio ma in alcuni casi altamente raccomandabile:  

al momento in pentola starebbe bollendo (o meglio nella zucca di qualche burocrate ambizioso e ovviamente totalmente ignorante) un demenziale e inapplicabile progetto di tracciabilità (leggasi tassabilità) delle gemme.

Ma come disse Andreotti divo Giulio “pensando male…"

 

Quindi, sintetizzando una risposta alla sua altrettanto precisa domanda finale eccole la mia brutale opinione:

“SI! Chiunque nel nostro settore ha avuto, ha e avrà a che fare con diamanti “irregolari”, e non solo sul Web.

E io non faccio eccezione perché si tratta anche di una reale necessità e non solo di una scelta interessata.

 

La soluzione ci sarebbe, ma saremmo nel campo di un’utopia stellare, roba da scolorire persino il ricordo di Giovanna D’Arco di fra Girolamo Savonarola.  :-(