Bangkok e zaffiri

Bangkok é la che ci attende, l'aeroplano ha già ridotto il regime dei motori per iniziare la lunga discesa verso la pista ancora lontana una sessantina di miglia.
Il volo é stato lungo, nonostante il breve scalo in India, e a bordo ci siamo fatti un dovere di collaudare la leggendaria ospitalità delle linee aeree Thai.
Siamo in tre, perché mi accompagnano Marco Spada, perito della dogana di Alessandria, e Mario, assicuratore in vena di scoprire nuovi orizzonti.

Scopo del viaggio, o per meglio dire alibi, il periodico rifornimento di zaffiri che, per precedenti esperienze, è meglio non affidare ai fornitori con ordini a distanza.

Non che sia impossibile, tutt"altro, ma non é consigliabile:
noi non siamo tanto importanti, evidentemente, da sottrarli alla tentazione di"inzuccherare i lotti con apporto di materiale meno pregiato.
Tutto sommato la cosa non ci meraviglia, e nemmeno ci dispiace, visto che l'oriente ha sempre esercitato un fascino cui non abbiamo nessuna intenzione di sottrarci.
Di esperienza ne abbiamo già fatto a sufficienza, arrivando al limite della sopravvivenza fisica per visitare un numero spropositato di taglierie nella vana ricerca del miglior rapporto qualità/prezzo;
pensiamo quindi di cavarcela in breve tempo, e di avanzare anche qualche giorno per cercare un poco di dovuto relax.

Purtroppo, Pietro é ritornato in Liguria a trovare i parenti, e questa volta non possiamo contare su di lui per affittare un appartamento decente, come posizione e come prezzo, quindi ci accontenteremo dell'ospitalità offerta dai mostruosi alberghi di scuola americana, tutti aria condizionata e shopping center.
Per fortuna siamo fuori stagione, e la clientela é internazionale e, soprattutto, quieta.
Sauna, piscina e cena con pesce e frutta sarebbero un fine giornata ideale, se non dovessimo ricuperate Mario, nel frattempo smarritosi nei meandri del complesso alberghiero.

Dalle nostre stanze, al diciottesimo piano, la vista del tramonto é superba, e quasi distoglie dalle mille luci della città, tra le quali s'intravvedono le cupole e i tetti dorati del palazzo imperiale.
Così, invece di andare a letto subito, si indugia sul balcone per fumare un'altra sigaretta, e per sentire sulla pelle il soffio di una brezza carica di profumi, di rumori lontani, e di umidità.
Avanti dunque, all'arrembaggio: il nuovo giorno é iniziato con un'esplosione di luci, di colori, di suoni, e persino le nuvole sembrano agli ordini dell'fficio turistico.
Solo il termometro avrebbe bisogno di un'aggiustata, perché pochi minuti sono sufficienti per incollarci addosso camice e pantaloni, nella attesa della prevista sinusite da aria condizionata "made in Siberia".

Nel palazzo realeNon si lavora ancora, per oggi ce la siamo cavata con una telefonata di preavviso all'amico Chen, cinese purosangue, che s'incaricherà di radunare la merce che stiamo cercando.
Direzione mercato galleggiante, con piroga a motore e velocità eccessiva per i numerosi canali d'acqua giallastra della periferia.
Gli spruzzi sono frequenti e, pur se graditi ai passeggeri, sarebbero dannosi per l'amata macchina fotografica, che così resta all'asciutto nella borsa.
Inutile pregare il barcaiolo, il mercato é mattutino, e bisogna affrettarsi.

E che mercato!

É un tappeto di natanti di tutte le dimensioni che, sponda contro sponda, offrono di tutto.
Pesce, frutta, cesti di vimini e di palma, spezie e ortaggi, pollame assortito e persino qualche maialino.
C'é anche una specie di gradinata di legno, galleggiante anch'essa, su cui sgranchirsi le gambe, ma neanche troppo perché é infestata da turisti. E da turiste, perlopiù americane dagli abiti troppo vistosi, gli occhiali a farfalla (con strass!) e voci da incubo che si sovrappongono fino a sovrastare persino i rumori del mercato.

Per comperare qualcosa bisogna possedere una discreta dose d'equilibrio, e magari avere anche i piedi prensili come le scimmie, dato che qui si muove tutto:
con le dovute cautele scambiamo un rotolino di carta moneta locale con un cappello e un mezzo chilo di miele, completo di favo e pezzetto di canna da usare come cucchiaino per supplemento di colazione.
Nel frattempo una delle turiste mette il piede su un mucchietto di verdura e, dopo un pietoso accenno di spaccata, finisce in acqua dove solleva un'ondata degna di Moby Dick.
Galleggia senza problemi, ed è comunque ripescata prima che prosciughi il canale, mentre le sue colleghe elevano un coro di "oh my God".
Mario, che non parla inglese, traduce immediatamente il "mio Dio" in "mio godimento", il che sarà la sua parola d'ordine per tutta la durata del viaggio.

Da buoni turisti ci sorbiamo poi il combattimento fra un cobra e una mangusta, una specie di gattone con il muso a punta, ma il serpente sembra soffrire dei postumi di una sbornia, e ha presto la peggio.
Urge una doccia, ma fra noi e l'albergo c'é ancora il palazzo reale dai tetti d'oro, una delle sette meraviglie del mondo.
Grazia, bellezza, armonia delle costruzioni, e sontuosità del complesso, sono tali da lasciare a bocca aperta, e la guida ingaggiata sul campo si guadagna ampiamente i cinque dollari pattuiti.
Prima di tornare, é d'uopo accarezzare la testa di un elefantino di bronzo che sta in cima a una scalinata: sarebbe l'amuleto che garantisce felicità, fortuna e un successivo ritorno in loco.
Come la monetina gettata nella fontana di Trevi, insomma, e a giudicare da come luccica la sua testa debbono essere in molti a crederlo.

Bene, il cielo s'incendia ed é bene affrettare il rientro, dato che il tramonto é un fenomeno decisamente breve. Cena a base di portate con nomi musicali, e dai gusti esotici: entusiasmanti per noi, sopportati da Marco, e aborriti da Mario.
Il tutto con il contorno di un atroce "O sole mio" cantato in nostro onore (col naso, certamente) da un artista locale in smoking.

artisti in stradaSi va a nanna subito, perché per guardare le pietre preziose bisogna essere in forma, e quindi appendiamo al collo di Mario il cartoncino dell'albergo per sguinzagliarlo poi fra i meandri dei negozi.
Chen ha fatto un buon lavoro, e non solo l"anticamera dell'ufficio, ma anche le scale del palazzo ospitano davvero tanti tagliatori con borse e borselli di zaffiri. Anche rubini, perché l"appetito vien mangiando, ma la nostra dieta prevede solo corindoni azzurri varietà zaffiro, e vi rimarremo fedeli a oltranza.

Comincia la processione dei venditori, e pur scartando senza pietà le partite meno interessanti, alle tre del pomeriggio sia la scrivania, sia i tavolini dell'ufficio sono coperti di lotti papabili.
É un lavoro appassionante, ma anche faticoso, perché a detta dei proprietari sono tutti zaffiri "Burma" e "Pailin" in lotti originali, ma lampada normalizzata e camera U.V. alla mano, i verdetti sono inappellabili.

Niet, niente da fare, incarta e porta via sono le frasi più consuete, ma presto ci rendiamo conto che ancora una volta ci vorrebbero giocare lo scherzo delle tre carte, in versione tailandese:
si mescolano i lotti scartati, e si ripropongono dentro una cartina diversa!
Divertente, all’inizio, ma faticoso alla lunga, perché gli occhi sono sempre quelli, e alla lunga si stancano anche.

Pausa con the e frutta per noi, e un vero pasto per Chen, che pesca dalle ciotole di un vassoio laccato e, come d'uso, rutta con soddisfazione parecchie volte.
Ultime selezioni, sigillo dei lotti, e arrivederci a domani per le contrattazioni di rito.
Forse ci sarebbe il tempo per raggiungere la grande statua del Buddha dormiente, pare sia la più grande esistente, ma optiamo per una camminata per il centro, dopo una sosta nella piazza con la statua del venerato re Rama V.

Bangkok é famosa per l'allegro caos del suo traffico, e per la bellezza delle sete che traboccano da infiniti negozi.
Noi però abbiamo un indirizzo preciso, grazie alla cortesia di una hostess thai che indossava stupendamente un campione del prodotto, e presto ci ritroviamo con decine di metri della preziosa stoffa che, almeno nel nostro caso, gireranno poi mestamente da un cassetto all'altro del guardaroba.

Secondo round con gli zaffiri, e questa volta sarà un "a corpo a corpo", perché ci trasciniamo dietro la valigetta col microscopio e gli altri strumenti da viaggio.

Per Chen é una sorpresa, abituato a vederci operare con le sole lampade regolarmente occultate alla dogana.
turismo... e relaxOra però la Thailandia riconosce il carnet A.T.A. e così abbiamo portato appresso tutti i giocattoli gemmologici necessari.
Per necessità, oltre che per passione, perché da queste parti si sono proprio specializzati in trattamenti per gemme che non sono esattamente ortodossi. Tutti quanti, onestamente, dichiarano che le loro pietre sono "trattate", ma si guardano bene dal precisare se l'operazione é consistita in un semplice riscaldamento, o se invece si é spinta più oltre: resine, stuccature per vetrificazione, borace o, digestivo finale, coloritura per termodiffusione.

Come per incanto, i lotti già selezionati diminuiscono di numero:
pare infatti che nel frattempo i proprietari abbiano ricevuto precise e pressanti richieste, e li ritirano senza indugio.
Bene, meno lavoro da fare, e sotto con gli altri, che in ogni modo ci terranno impegnati a lungo, anche solo per controlli a campione.
Altri scarti, qualche discussione, lunghi mercanteggiamenti e l'acquisto finale.

Rimane in sospeso un lotto di zaffiri tagliati a cabochon, dal colore stupendo ma forse un tantino troppo uniforme.
Neanche l'esame in immersione con il microscopio fuga il dubbio di una termodiffusione del colore, così concordiamo per l'indomani un appuntamento col proprietario, che gentilmente si dichiara disposto a tagliarne qualcuno per l'analisi in sezione.
Gentile, dicevo, ma evanescente, dato che il giorno dopo non si fa vedere.
Per timidezza, probabilmente...
Carta velina, cordino, ceralacca e firma, gli acquisti sono pronti per la spedizione, e ora basta con le gemme: ci attende una cena favolosa in un delizioso "sea food restaurant", i cui piatti varranno certo alcuni secoli nel purgatorio dei golosi.

I tavolini sono dispersi in un giardino acquatico fra canneti e ninfee in fiore, il servizio é favoloso, ma la granseola in salsa di soya é degna della tavola degli dei, e fa dimenticare tutto il resto,
Anche l'attenzione necessaria per evitare quella vistosa macchia che ora decora la nostra giacca bianca.
Poco male, il servizio prevede anche questo, e una gentilissima cameriera vorrebbe l'ndumento per provvedere, ma non ne ha un"altra da darci in cambio.
Non osiamo confessare la camicia sudata, e così decide di intervenire direttamente.

Mai stati smacchiati sul campo da una fanciulla fresca e profumata, con camicetta di seta e gonna lunga dallo spacco vertiginoso?
É un'esperienza che auguriamo di cuore a tutti, mentre già pensiamo quali possano essere le portate più brodolose da ordinare domani!

Ora, riesumata la macchina fotografica, riprendiamo a spuntare la lista delle bellezze da vedere.
Veramente, ci sarebbe anche il tempo per fare una puntata al Nord, nella zona di Ciang Mai, ma sembra che ci siano disordini e noi non siamo in vena di avventure guerresche.
Avanti allora, il Buddha di smeraldo ci attende nel tempio al cui ingresso lasciamo le scarpe.
Dentro, attenti a non offendere nessuno volgendogli le spalle, vediamo (male, bisogna dire) la famosa statuetta ricavata da un singolo, enorme cristallo.
Ma la vediamo soltanto, perché c'é poca luce, e non si possono scattare foto, tantomeno col flash.

un taxi ecologicoAndrà meglio all'allevamento dei coccodrilli, dove diecimila rettili (o, forse, cinquantamila?) sono allevati per farne scarpe o borsette.
Nei film sulla Thailandia si vedono i colori, si sentono i suoni, ma mancano i profumi che rendono inebriante l'atmosfera.
E manca anche il caldo umido che, inframmezzato di brevi acquazzoni, stronca anche i visitatori più esuberanti.

Noi, semi liquefatti, ci arrendiamo a un tour della città, sedotti dall'idea di un pulmino con aria condizionata.
L'interprete é graziosissima e convinta di parlare italiano, ma la velocissima litanìa che snocciola é del tutto incomprensibile.
Le balestre del furgoncino che ci scarrozza sono degne di un fuoristrada, ma adatte al fondo stradale che non é dei migliori;
l'aria condizionata, gelida, esce da due bocchettoni privi di deflettori, con un getto mortale che evitiamo con ogni cura.

Finalmente, il tour ha termine, non senza una fermata non prevista ma obbligatoria:
in una taglieria di pietre, ovviamente, dove insieme a smaglianti sorrisi e prezzi folli manca solo il cartello "riservato ai turisti gonzi".
La giornata é stata impegnativa, tanto che il poliziotto di guardia al piano, in albergo, ne equivoca evidentemente il motivo e, tentennando lievemente la testa, ammicca con un sorriso di comprensione.

Siamo stanchi ma soddisfatti, e Mario ha persino superato il complesso della lingua:
stanco di rispondere no ai numerosi "do you speak english?", si salva rilanciando un sonoro "and do you speak giarolais?"
Ora, dato che Giarole é un paesino a metà strada fra Valenza e Casale Monferrato, in Thailandia nessuno ne conosce il dialetto:
pari siam, conclude lirico il Mario assicurator cortese.
Questo viaggio, in fondo, gli é piaciuto.
In albergo ha fatto amicizia col cuoco napoletano, assicurandosi pizza, spaghetti e coca cola tutti i giorni.

Una favola.