Il diamante, processo di separazione

Scavato nella miniera ricavata nel cono di un antico vulcano, o ricuperato dalle ghiaie di antichi fiumi, sua maestà il diamante è un’ambita preda che si concede solo a caro prezzo.
La sua storia si perde nella notte dei tempi, ed è sovente difficile distinguerla dalla leggenda che ne ammanta il mito:
ricordiamo per inciso che solo dagli agli anni a cavallo della fine del secolo scorso si è operata una razionalizzazione della ricerca, e delle relative strutture tecniche e commerciali., ad opera dell’inglese De Beers Consolidated Mines.

Comunque, delimitato un giacimento promettente, il primo problema consiste proprio nell’individuare i diamanti, separandoli quindi dai minerali che li accompagnano.

Le ricerche effettuate nei giacimenti secondari (i luoghi ove si rinvengono diamanti, che però si sono formati altrove) sarebbero facilitate dal fatto che la natura stessa ha già fatto una parte del lavoro: la frantumazione della roccia madre (la kimberlite, detta anche blue-ground, terra blu) che, abbastanza friabile, si è sfaldata nel rotolamento causato dall’acqua di preistoriche alluvioni.

I primi diamanti furono quasi certamente rinvenuti così, frammisti a ghiaie ed a minerali assortiti rispetto ai quali fu, ed è, necessario individuarli con rapidità e sicurezza.
A vista, naturalmente, perché i primi cercatori utilizzavano solo la vista per individuare i cristalli che urti, sfregamenti ed abrasioni hanno reso quasi sempre del tutto opachi.

Questo metodo, tuttora utilizzato dai (romantici ?) cercatori solitari, è comunque in uso presso miniere dotate di impianti industriali, semplicemente per impedire che diamanti di grandi dimensioni possano finire in frantumi insieme alla roccia madre che li contiene: uno, o più, operai se ne stanno tutto il giorno appollaiati presso il nastro che trasporta il minerale dagli elevatori della miniera alle macine preposte alla riduzione, pronti a lanciare il dovuto allarme non appena individuato il prezioso cristallo.

Ben presto, comunque, alla ricerca diretta fu affiancato un metodo più efficace, molto più produttivo e, nella sua razionalizzazione tecnica, utilizzato a tutt’oggi per una raccolta industriale: la tavola col grasso.
Su di una superficie inclinata, tavola di legno o nastro trasportatore, vengono rovesciati i minerali diamantiferi, e investiti da una moderata corrente d’acqua;
questo lavaggio continuo rimuove sabbia, sassi e minerali vari, ma lascia i diamanti aderenti alle superfici ingrassate, dalle quali vengono periodicamente recuperati con un semplice raschietto.

Il diamante è estremamente affine al grasso (ecco perché i gioielli con diamanti debbono essere puliti con maggiore frequenza!) e questa sua proprietà ne consente una ricerca sistematica anche in zone prive di strutture tecniche, visto che l’acqua, un piano di legno ed un poco di grasso si possono reperire quasi ovunque.

E non è poco, visto che funzionano senza necessità di corrente elettrica, di personale specializzato, o di macchinari sofisticati: proprio quello che ci vuole, dato che parecchi giacimenti si trovano in zone selvagge, impervie o comunque molto isolate.

La ricerca sul minerale di miniera, invece, richiede investimenti tecnici di ben maggiore rilievo, e dai primi scavi in Sud Africa ai più recenti complessi siberiani, australiani o cinesi, il panorama nei pressi di un camino diamantifero è, pressappoco, sempre lo stesso.

Il camino diamantifero è quanto rimane dell’antico vulcano nella cui lava si formarono (o vennero comunque trasportati in superficie) i diamanti che cristallizzarono in seguito alle enormi temperature e pressioni a cui la terra sottopose il carbonio presente nel suo immenso, antichissimo crogiolo.

Il camino è detto giacimento primario, poiché i cristalli si trovano proprio nel luogo ove si suppone si siano formati.
Del vulcano non rimane nulla, perché vento e piogge hanno provveduto a disgregare la lava ed a trasportarla, diamanti compresi, anche a migliaia di chilometri di distanza.

Nel sottosuolo è rimasto invece il cono di effluvio ("pipe", nel gergo inglese) che, una volta individuato, viene accuratamente delimitato e valutato quindi sia dal punto di vista produttivo, in termini di costo in rapporto alla produttività, sia dal punto di vista tecnico, per procedere con i metodi di sfruttamento più opportuni.
Un grande scavo a cielo aperto, fin che dimensioni e condizioni ambientali (clima, frane, piovosità ecc…) lo consentono, e poi proseguimento in galleria.

Il minerale estratto subisce allora una prima selezione "a vista", per i noti motivi, e viene poi trattato con tutti i metodi atti al più efficace ricupero dei diamanti eventualmente presenti.

Dopo l’osservazione diretta ed il lavaggio sui piani ingrassati, il minerale viene sminuzzato in passaggi diversi fino a dimensioni prestabilite (in pezzi grandi come una noce, più o meno) e "concentrato" per densità in vasche contenenti liquidi appositi, dalle quali si ricupera la parte nella quale sono frammisti i diamanti;
altro passaggio, ed altra macchina che, con un nastro trasportatore, fa cadere i diamanti ed i minerali attraverso un proiettore a raggi X, ai quali i diamanti sono trasparenti: così, ad alta velocità, un soffio d’aria comandato dal sensore RX provvede a separare le gemme dai materiali estranei, con l’instancabile efficienza che contraddistingue i robot.

Tutto qui? Fine del lavoro, dunque? No, è ovvio, perché il bello comincia ora, e l’uomo si riprende la supremazia sulle macchine.

Dei diamanti raccolti, sia in miniera, sia nei giacimenti fluviali e marini, solo un 20% si presta ad un uso in gioielleria, mentre il rimanente sarà destinato ad un (importantissimo!) uso industriale, nelle produzioni di precisione destinate ai più diversi, e strategici, settori.

Da ora in poi sarà solo l’occhio umano a valutare il colore del cristallo, la sua trasparenza, le particolarità della forma e delle eventuali inclusioni per deciderne il futuro.

In quella magica alchimia di scelte è solo la sensibilità dell’occhio umano, l’esperienza di un selezionatore e, perché no, la segreta passione che accendono i diamanti in coloro che li maneggiano, a determinare quelle scelte in cui parametri tecnici e considerazioni matematiche sono un necessario punto di riferimento, ma non certo un metro costante da applicare con geometrica rigidità.

Dopo la selezione primaria che ha separato i cristalli per uso industriale da quelli destinati a divenire le gemme che noi apprezziamo, questi ultimi sono ulteriormente selezionati per dimensione, colore e purezza, per una valutazione globale delle quantità e delle qualità da immettere sul mercato.

Ora verranno costituiti i famosi "sights", quei lotti di grezzo che nel corso di aste periodiche (una decina all’anno, circa) verranno assegnati - a scatola chiusa! - ad un ristretto gruppo di compratori, più o meno 260 persone in tutto il mondo.

E questi lotti, oltre a considerare le disponibilità (e le richieste del momento) saranno attentamente misurati per consentire una valorizzazione costante (su base mondiale) delle gemme in circolazione.
Solo con un attento dosaggio dell’offerta, infatti, ci si può cautelare contro un disastroso crollo dei prezzi, crollo che seguirebbe immediatamente ad una selvaggia immissione sul mercato di tutte le disponibilità esistenti.

Il monopolio De Beers è comunque un monolite stretto d’assedio, perché molti paesi emergenti (Africa, Siberia, Cina, Australia e Canada) hanno sovente larghe maglie nel controllo delle loro produzioni, o addirittura proprie strutture commerciali.

Nel complesso nessuno ha però interesse ad uccidere la gallina dalle uova d’oro, ed è ragionevole ritenere che sua altezza il diamante rappresenterà ancora a lungo un sogno ambito e molto, molto prezioso…



Articolo pubblicato su Oro e Diamanti - Trezzano S/N (rivisto ed eventualmente aggiornato)