Sri Lanka, lo scrigno

Anche i gemmofili hanno un cuore

Questo é un reportage di ricordi, originato da quella nostalgia che, di tanto in tanto, colpisce tutti quelli che non vanno in giro per il mondo solo per mandare cartoline ai compaesani.

Capita allora che le nebbiose, tristi giornate di un novembre valenzano vengano sostituite da voli pindarici a ritroso, verso memorie che sono al tempo stesso un balsamo per lo spirito ed una legittima difesa contro le quotidiane, inderogabili banalità.

 

E di colpo rieccomi sul vecchiotto aeromobile che da Bombay mi porta verso Sri Lanka, la leggendaria Ceylon, quella perla dell’oceano indiano che finora, almeno per il sottoscritto, é stata solo l’etichetta di una scatola di the.

Il volo dura forse qualche ora, ma la trasvolata dell’India é un film tanto avvincente da dimenticare, con il naso incollato all’oblò, sia l’orologio, sia il fischio dei motori che allieta le ultime file di poltrone.

Lo sbarco avviene direttamente sulla pista, sotto lo sguardo premuroso di tre o quattro hostess che, in sari verde, ci sorridono poco lontano.

Paiono ondeggiare nell’aria, ma sono ben ferme sui sandali: é l’aria che ondeggia, e dall’aria condizionata di bordo ai quaranta e più che non ci aspettavamo, lo shock é micidiale. Uno dei passeggeri sviene e casca faccia in avanti, per fortuna sul bagaglio di un altro, e così viene recuperato con pochi danni dagli addetti alla pista.

La dogana é noiosa come tutte le dogane, e con i formulari di sbarco porta via una mezz’oretta buona, ma per fortuna il rifrattometro é ben mimetizzato fra macchine fotografiche ed accessori.

Solo un cane antidroga, troppo zelante o più diffidente dei colleghi, avanza malsane curiosità verso il liquido di contatto, ma il suo conduttore prende per buona l’indicazione di "collutorio medicinale ad uso antisettico" e finalmente ottengo il visto d’ingresso.

Arrivando dall’ India, Sri Lanka mi sembra moderna come la Svezia ed ordinata come la Svizzera, ed il vetusto taxi Peugeot mi scarrozza allegramente per la campagna verso Colombo, la capitale.

Metà estatico per il paesaggio tropicale, e metà riconoscente verso Pio Visconti che mi ha suggerito il viaggio.

Veramente non me l’ha proprio suggerito, perché ha approfittato magistralmente del momento di indifeso relax che segue la fine di un corso di gemmologia: lui, insegnante per la parte scientifica, é sempre in forma smagliante, mentre io, responsabile di quella tecnica, oltre che dell’organizzazione, sono regolarmente distrutto.

E quando l’amico di antiche imprese goliardiche ti rinfaccia la mancata conoscenza di Sri Lanka (malgrado i molti viaggi in India!), con un breve litigio in agenzia viaggi ti organizzi una deviazione come si deve, per puro piacere. O quasi, perché il mefistofelico amico aggiunge, quasi per caso, che il sottosuolo dell’isola in questione é anche un vero paradiso di gemme.

Bontà sua, mi ha persino corredato di un elenco con una ventina di specie interessanti da stanare, chissà mai mi capitasse l’occasione… Paradiso di gemme, dicevamo, ma solo per turisti inclusive tours, perché gli outsiders come me possono ottenere, al massimo, una stanza per tre giorni. Ed eccomi all’hotel Intercontinental, a lato di una grande piazza che fiancheggia il mare.

Bellissima la passeggiata lungo l’antico muro perimetrale, con piazzole e cannoni dell’epoca di Sandokan, ma ormai é tardi, l’aria si é fatta più fresca, e il tramonto é di una bellezza inenarrabile. Manca solo una coppia in luna di miele a passeggio sul lungomare ma, la prudenza innanzitutto, forse é colpa del buio che piomba all’improvviso.

La fragranza dei profumi esotici si mescola alle note, dolcemente ritmate dell’orchestrina che suona sulla terrazza dell’albergo, e per oggi posso rientrare, contento d’essere arrivato fino qui. Colombo si presta abbastanza per chi ama andarsene a spasso senza una meta precisa, ma dato che i portici non ci sono dappertutto, é meglio procurarsi un bel cappello di paglia, o di cocco, prima di azzardare la traversata della piazza antistante l’hotel.

Dall’altra parte, sotto i portici, una gioielleria dalla calda atmosfera "old english" con titolare gentilissimo e nipote gemmologa, fresca di diploma californiano. Sarà il destino, ma vengo immediatamente introdotto nel sancta sanctorum della ditta, la "grotta di Aladino" che raccoglie il tesoro dei pirati.

E in effetti gli assomiglia molto, perché é una raccolta di oreficerie antiche non sterminata, magari, ma certo di gusto squisito, e di indubbio fascino. Da un antico forziere, debitamente illuminato, sfavillano bracciali, collane e diademi con zaffiri, rubini e smeraldi da capogiro. Il taglio é primitivo, le simmetrie del tutto casuali, ma la qualità della lavorazione che accomuna gli oggetti é sublime.

Sbalzo, cesello e traforo di qualche secolo fa sono delizie che arricchiscono la vita, e io non sono nemmeno attrezzato per riprese fotografiche a distanza ravvicinata! Sarà per un’altra volta, e lasciato l’angolo delle meraviglie passiamo alle più consuete gemme di Sri Lanka. Consuete per modo di dire, perché i giacimenti alluvionali celano fra le antiche ghiaie esemplari mozzafiato, che vedo sia grezzi, sia sfaccettati. In particolare mi accanisco su di un grezzo con un bellissimo abito a scalini, con forma allungata e (vagamente) bipiramidale: lo compero, ed ora fa bella mostra di sé nella collezione di Manfred Eickhorst, in Germania.

Altro zaffiro stupendo, questa volta sfaccettato, di quel famoso "blu madonna" che ha reso celebri le pietre dell’isola, ed altra sorpresa: il colore é tutto addensato in corrispondenza dell’apice, ed il cristallo, di profilo, appare del tutto incolore. Solo attraverso la tavola, per effetto della riflessione interna, rivela quell’azzurro così simile alla trasparenza dei mari tropicali. I rubini non sono particolarmente entusiasmanti, ma il mio anfitrione, probabilmente, lo dava per scontato.

O, forse, li considerava solo l’antipasto, perché mi scodella… pardon mi mostra una decina di crisoberilli "occhio di gatto" da mozzafiato. Tutti superiori al carato, con un fenomeno di gatteggiamento nitidissimo e perfettamente centrato alla sommità del cabochon.

Niente da dire, si comincia bene! Ma per fare il turista come si deve, raggiungo il Lanka Oberoi, poco distante, che pare l’unico albergo attrezzato per le immersioni subacquee.

Mi hanno informato male, perché le acque davanti a Colombo, squali a parte, hanno correnti marine estremamente pericolose, e non è il caso di insistere. Pazienza, mi leggerò il due manualetti sulle gemme locali scovati nella libreria della hall.

Entrambi senza troppe pretese, recano però l’indirizzo degli autori, che raggiungo uno dopo l’altro.

Il primo é un ragazzo cingalese di forse una trentina d’anni, la cui sola preoccupazione é quella di vendermi qualche esemplare, e di mettere quindi il mio biglietto da visita nel raccoglitore dei "suoi clienti"; l’altro é un anziano gentleman con un laboratorio d’analisi di tutto rispetto, completo di microscopio orizzontale Eickhorst!

Facciamo subito amicizia, e mi consiglia di non trascurare una visita a Kandy, l’antica capitale, notevole tanto per l’architettura coloniale, quanto per i numerosi commercianti di gemme che ancora vi risiedono. Lui non ha molto da mostrarmi, dice, ma si smentisce immediatamente allineandomi sulla scrivania una decina (!) di kornerupine gatteggianti. Belle davvero, in varie sfumature di verde e, soprattutto, mai viste prima.

Poi, sempre con signorile distacco, mi porge un bel cristallo giallo-bruno, grande come una mandorla. che mi precisa essere nientemeno che una ekanite. Una delle poche esistenti al mondo, di quella taglia, tanto che per valutarla la invierà a Lucerna, in un prossimo futuro, al suo amico Gubelin.

Passata l’emozione, mi sento comunque un pochino ridicolo nel chiedergli notizie delle adularie, o pietre di luna, che vorrei comperare come souvenir.

E allora me ne regala una lui, bellissima, e mi indica lo "State Gem Corporation" come l’ufficio nazionale preposto al commercio delle gemme.

Ufficio con tanto di laboratorio d’analisi, che però sembra dedicato, o solo frequentato, da turisti di bocca buona. Pietre tante, ma qualità medio bassa, e prezzi per nulla interessanti. Ammesso finalmente al cospetto del direttore, ottengo qualcosa di meglio, tanto da giustificare un piccolo acquisto.

In fondo, é solo una vacanza, vero? In compenso, in albergo marca male, perché sono trascorsi i tre fatidici giorni, e così prendo alloggio in un casermone che costa un quarto del precedente, ma ha un condizionatore tanto rumoroso da essere insopportabile.

Per fortuna che nel frattempo ho conosciuto l’ambasciatore italiano, Marco Vianello Chiodo che, oltre ad invitarmi a colazione, mi ottiene altri giorni nell’antipatico, ma silenzioso, Interconti.

E, addirittura, mi accompagna da alcuni amici gioiellieri, che saluta a mani giunte e dai quali é trattato con grande deferenza. Grazie a lui vedo anche rubini davvero degni della loro leggenda, e mi faccio una cultura sulla storia e sulle tradizioni locali. E rimedio un appuntamento con un operatore locale seriamente intenzionato a costituire una società in compartecipazione con una ditta italiana.

La mia, appunto, perché non sa che, agli inizi della carriera, un socio ce l’ho già: la mia banca. Quindi mi illustra le potenzialità della zona franca di recente costituzione, e l’eccellente prospettiva che si apre per chi volesse ottenere una concessione mineraria. L’amico giunge fino al punto di farmi visitare una miniera, che però é solo un buco nel terreno, con sopra un trespolo per tirare in superficie le ceste con il materiale di scavo.

Le ghiaie gemmifere "illam", in dialetto cingalese) sono quattro o cinque metri sotto uno strato di terra che sembra consistente, pur se abbondantemente impregnato d’acqua. Ma per scendere in pozzi del genere (armati con qualche palo e molte frasche) ci vuole davvero un bel fegato, anche se l’immancabile indovino ha predetto che l’operazione sarà coronata da pieno successo, e qui ci vorrebbe davvero l’investimento necessario per impiegare una scavatrice meccanica.

Più distante i giacimenti sono più superficiali, e si lavora a cielo aperto, in trincee o in larghe buche ove collabora tutta la famiglia, bimbi compresi. Rientrato a Colombo, decido di raggiungere Kandy, e ricorderò a lungo il comfort del torpedone multicolore che mi ci ha portato, oltretutto in un bagno di sudore!

Cocco gelato, mezzo litro di "passion flower" (il cosiddetto fiore della passione, che invece fa dormire) e giro della città, zigzagando per sfruttare l’ombra degli alberi. Gems, Sir?

Grazie, non adesso, ma il ragazzino che mi ha abbordato conosce solo quelle due parole d’inglese, così mi sospinge da un mercante di pelle più chiara del solito. Infatti é indiano e, fra un lotto di zaffiri e vari sacchi di adularie, mi raccomanda un cugino che, a Bombay, mi potrebbe fornire i diamanti più belli ai prezzi migliori.

La visita volge al termine, ma prima di lasciare Sri Lanka voglio raggiungere il picco che la sovrasta, o almeno le sue pendici circondate dalle famose piantagioni di the.

Vorrei scalarlo, naturalmente, ma senza l’equipaggiamento adatto, e senza Pierluigi come primo di cordata, io potrei al massimo collaudare il soccorso alpino locale, se mai ne hanno uno.

E il pensiero corre a Renzo Favre, l’aiuto guida alpina che un eccesso di amore per la montagna uccise proprio durante una delle nostre escursioni scuola.

Ecco, se ne avessi titolo, vorrei dedicare a lui una via di salita. Lui, che nella natia Val d’Aosta, non voleva cercare pietre.

Perché, mi diceva, qui tutte le pietre sono preziose. Anzi, di più, sono belle…